domenica 25 settembre 2016

Camping in stile Camp Rock!


Partiamo dal presupposto che, come ripeto sempre, io sono cresciuto con i film americani e quando ero piccolo ricordo di essere stato in fissa con Camp Rock. Insomma, chiunque vorrebbe star lì, in quel magico posto immerso nella natura, con laghi, chitarre, musica, amici e totale divertimento. Beh’, non avrei mai pensato di dirlo (e nel farlo mi viene la pelle d’oca, credetemi) ma anche io ho avuto l’opportunità di vivere un’esperienza simile. Sì, perché lo scorso week-end siamo andati in camping con Intercultura in Nord Michigan, in un posto meraviglioso, isolato dal mondo e a stretto contatto con la natura. Non trovo le parole per descriverlo, ma ci proverò comunque.
Dunque, siamo partiti da Chelsea venerdì mattina verso le 12:00 per arrivare a destinazione alle 15:00 (o forse di più, non ricordo bene). Prima di continuare, lasciatemi dare la brutta notizia. So che anche solo leggerlo sarà per voi un duro colpo, so che molti potrebbero non farcela, io stesso ho messo in dubbio la mia intera esistenza quando l’ho saputo, credendo anche di non farcela, ma per fortuna sono in qualche modo sopravvissuto. Dunque, ecco la brutta notizia (siate forti): ci hanno tolto i telefoni per 3 giorni. Ecco, l’ho detto. Perché? Per farci “socializzare”. Ma il problema più grande nel lasciare il cellulare sta nel fatto che così facendo non ho potuto fare foto a quel posto meraviglioso e quelle che vedete adesso sono riuscito a farmele inviare o a trovarle su Facebook da quei pochi che le avevano fatte con le loro macchinette fotografiche.
Ma procediamo. Appena arriviamo sul posto (che abbiamo dovuto raggiungere con una barca, perché appunto è isolato dal resto del mondo) veniamo accolti su un pontile da un uomo e cominciamo a guardarci in giro, ignorando totalmente quello che sta dicendo. Il camping è costruito su un piano in pendenza, talmente ripido che per scalarlo digerisci pranzo e cena. Sulla parte bassa si trovano la sala pranzo e quella svago (con tanto di chitarre attaccate alle pareti, pronte per essere suonate), mentre nella parte alta si diramano i vari dormitori, ciascuno con un nome diverso (io ho dormito in quello numero 2, chiamato Whispering Pines). Dietro i dormitori c’è un amaka sospesa in aria tra gli alberi, talmente grande da sembrare una gigantesca ragnatela che si estende tra gli alberi, e, vi giuro, sarei potuto star lì steso per giorni. Sulla riva del fiume, praticamente nella parte più bassa di tutto il camp, vi è un tavolo da ping pong e una panchina dove abbiamo passato un sacco di tempo.

Ma torniamo alla narrazione. Appena arrivati veniamo divisi in gruppi per i dormitori e ci viene dato il tempo di sistemare i nostri effetti, con appuntamento nella sala pranzo per una riunione sul da farsi.
Ah, aspettate! Mi sono dimenticato di dirvi che non ero l’unico italiano. Ebbene sì, dopo un mese e più senza parlare italiano con qualcuno, posso finalmente annunciare che non sono più solo. C’è un altro ragazzo italiano ad Ann Arbor, una città ad una ventina di minuti dalla mia, con il quale ho trascorso questo week-end (in verità, c’era anche una ragazza italiana al camping ma si trova a più di un’ora di macchina da me).
Dopodiché, abbiamo passato tutto il resto della giornata facendo giochi (per lo più stupidi, come il mimo o il telefono senza fili) e suonando con le chitarre un sacco di canzoni conosciute in tutto il mondo (Thinking out loud, Let her go, All of me,
Radioactive e…la mia memoria si ferma qui perché non ricordo che altre canzoni abbiamo suonato).
Ah, una piccola osservazione: eravamo molto limitati con le canzoni perché nessuno poteva trovare gli accordi su internet, visto che nessuno aveva il telefono. Ecco, vedete? I cellulari servono! Senza non possiamo fare nulla! Ah, altra piccola osservazione: mi sono portato le carte napoletane al camping e ho insegnato ad alcuni ragazzi a giocare a scopa. Qual è il punto? Dovevate vedere la loro reazione nel vedere carte che non riuscivano a riconoscere! L’asso di denari lo scambiavano per un 8!
Insomma, finita la serata siamo andati a dormire (e qui non vi dico quante persone abbiano sbattuto, siano inciampate o si siano perse al buio nel tentativo disperato di trovare la strada nel bosco per il proprio dormitorio. Il che mi riporta a sottolineare l’importanza del telefono! Avremmo avuto la torcia! Ok, ce la siamo portati, ma tutti se l’erano dimenticata nella valigia perché, diciamocelo, chi usa più le torce! Esiste l’app sul telefono!).
Il giorno seguente è cominciato nel migliore dei modi, con una noiosissima orientation di 3 ore e mezza in cui, oh guarda, hanno ripetuto LE STESSE ED IDENTICHE COSE CHE CI HANNO DETTO E RIDETTO FIN DALLA NOSTRA ISCRIZIONE AD INTERCULTURA. BASTA. HO CAPITO. NON HO ALCUNA INTENZIONE DI INFRANGERE QUELLE MALEDETTE REGOLE FACENDO L'AUTOSTOP AD UN VEICOLO A CASO! È PASSATO UN MESE E MEZZO, DATEMI PACE!
Ma subito dopo, tutto è cominciato ad andare meglio, perché, finito il pranzo, siamo andati a vedere il Lago Michigan, uno degli paesaggi più impressionanti che abbia mai visto. Acqua senza alghe, di un blu che sfuma fino a diventare un azzurro cristallino vicino alla riva. Dolce, fresca e sconfinata, tanto da sembrare mare. Per non parlare dell’enorme salita di sabbia che, oltre ad essere un sfacchinata immane da scalare, era uno spettacolo mozzafiato. Vi giuro, ho ancora la pelle d’oca.
Siamo tornati al camp verso le 18:00 e abbiamo cenato, dopodiché ci siamo messi a giocare a ping pong e a suonare le chitarre sulla panchina vicino al tavolo, finché non ho scoperto dell’esistenza dell’hamaka e ho trascorso lì il resto della serata. Alle 20:30 è iniziato il falò in spiaggia, sulla riva del lago che ci ha regalato un tramonto bellissimo. E anche lì abbiamo suonato e cantato proprio come se fossimo all’interno di Camp Rock.
Ma noi avevamo qualcosa in più. E non sto scherzando. Sapete cosa? La nostra differenza culturale e linguistica. Perché sì, non dobbiamo dimenticarci che lì eravamo in 30 persone e quasi tutte di paesi diversi, con culture diverse, lingue diverse, storie diverse. Ed è stato stupendo vedere come in quel mare di lingue differenti, persone provenienti da tutto il mondo abbiano trovato punti di contatto tra le culture, cose in comune. L’aria era colma di voci e di parole diverse che si differenziavano tra loro per la vastità di accenti, toni e significati, come se ci fosse un grande arcobaleno del suono invisibile.
Insomma questo è stato il mio week-end in stile camp Rock che sicuramente non scorderò mai.




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