Partiamo dal presupposto che,
come ripeto sempre, io sono cresciuto con i film americani e quando ero piccolo
ricordo di essere stato in fissa con Camp Rock. Insomma, chiunque vorrebbe star
lì, in quel magico posto immerso nella natura, con laghi, chitarre, musica,
amici e totale divertimento. Beh’, non avrei mai pensato di dirlo (e nel farlo
mi viene la pelle d’oca, credetemi) ma anche io ho avuto l’opportunità di
vivere un’esperienza simile. Sì, perché lo scorso week-end siamo andati in
camping con Intercultura in Nord Michigan, in un posto meraviglioso, isolato
dal mondo e a stretto contatto con la natura. Non trovo le parole per
descriverlo, ma ci proverò comunque.
Dunque, siamo partiti da Chelsea venerdì
mattina verso le 12:00 per arrivare a destinazione alle 15:00 (o forse di più,
non ricordo bene). Prima di continuare, lasciatemi dare la brutta notizia. So
che anche solo leggerlo sarà per voi un duro colpo, so che molti potrebbero non
farcela, io stesso ho messo in dubbio la mia intera esistenza quando l’ho
saputo, credendo anche di non farcela, ma per fortuna sono in qualche modo
sopravvissuto. Dunque, ecco la brutta notizia (siate forti): ci hanno tolto i
telefoni per 3 giorni. Ecco, l’ho detto. Perché? Per farci “socializzare”. Ma il problema più grande nel lasciare il cellulare sta nel fatto che così facendo
non ho potuto fare foto a quel posto meraviglioso e quelle che vedete adesso
sono riuscito a farmele inviare o a trovarle su Facebook da quei pochi che le
avevano fatte con le loro macchinette fotografiche.
Ma procediamo. Appena arriviamo
sul posto (che abbiamo dovuto raggiungere con una barca, perché appunto è
isolato dal resto del mondo) veniamo accolti su un pontile da un uomo e
cominciamo a guardarci in giro, ignorando totalmente quello che sta dicendo. Il
camping è costruito su un piano in pendenza, talmente ripido che per scalarlo
digerisci pranzo e cena. Sulla parte bassa si trovano la sala pranzo e quella
svago (con tanto di chitarre attaccate alle pareti, pronte per essere suonate),
mentre nella parte alta si diramano i vari dormitori, ciascuno con un nome
diverso (io ho dormito in quello numero 2, chiamato Whispering Pines). Dietro i
dormitori c’è un amaka sospesa in aria tra gli alberi, talmente grande da sembrare
una gigantesca ragnatela che si estende tra gli alberi, e, vi giuro, sarei
potuto star lì steso per giorni. Sulla riva del fiume, praticamente nella parte
più bassa di tutto il camp, vi è un tavolo da ping pong e una panchina dove abbiamo
passato un sacco di tempo.
Ma torniamo alla narrazione. Appena
arrivati veniamo divisi in gruppi per i dormitori e ci viene dato il tempo di
sistemare i nostri effetti, con appuntamento nella sala pranzo per una riunione
sul da farsi.
Ah, aspettate! Mi sono dimenticato
di dirvi che non ero l’unico italiano. Ebbene sì, dopo un mese e più senza
parlare italiano con qualcuno, posso finalmente annunciare che non sono più
solo. C’è un altro ragazzo italiano ad Ann Arbor, una città ad una ventina di
minuti dalla mia, con il quale ho trascorso questo week-end (in verità, c’era
anche una ragazza italiana al camping ma si trova a più di un’ora di macchina
da me).
Dopodiché, abbiamo passato tutto
il resto della giornata facendo giochi (per lo più stupidi, come il mimo o il
telefono senza fili) e suonando con le chitarre un sacco di canzoni conosciute
in tutto il mondo (Thinking out loud, Let her go, All of me,
Radioactive e…la mia memoria si ferma qui perché non ricordo che altre canzoni abbiamo suonato).
Radioactive e…la mia memoria si ferma qui perché non ricordo che altre canzoni abbiamo suonato).
Ah, una piccola osservazione:
eravamo molto limitati con le canzoni perché nessuno poteva trovare gli accordi
su internet, visto che nessuno aveva il telefono. Ecco, vedete? I cellulari
servono! Senza non possiamo fare nulla! Ah, altra piccola osservazione:
mi sono portato le carte napoletane al camping e ho insegnato ad alcuni ragazzi
a giocare a scopa. Qual è il punto? Dovevate vedere la loro reazione nel vedere
carte che non riuscivano a riconoscere! L’asso di denari lo scambiavano per un
8!
Insomma, finita la serata siamo
andati a dormire (e qui non vi dico quante persone abbiano sbattuto, siano
inciampate o si siano perse al buio nel tentativo disperato di trovare la
strada nel bosco per il proprio dormitorio. Il che mi riporta a sottolineare
l’importanza del telefono! Avremmo avuto la torcia! Ok, ce la siamo portati, ma
tutti se l’erano dimenticata nella valigia perché, diciamocelo, chi usa più le
torce! Esiste l’app sul telefono!).
Il giorno seguente è cominciato
nel migliore dei modi, con una noiosissima orientation di 3 ore e mezza in cui,
oh guarda, hanno ripetuto LE STESSE ED IDENTICHE COSE CHE CI HANNO DETTO E
RIDETTO FIN DALLA NOSTRA ISCRIZIONE AD INTERCULTURA. BASTA. HO CAPITO. NON HO ALCUNA INTENZIONE DI INFRANGERE QUELLE MALEDETTE REGOLE FACENDO L'AUTOSTOP AD UN VEICOLO A CASO! È
PASSATO UN MESE E MEZZO, DATEMI PACE!
Ma subito dopo, tutto è
cominciato ad andare meglio, perché, finito il pranzo, siamo andati a vedere il
Lago Michigan, uno degli paesaggi più impressionanti che abbia mai visto. Acqua
senza alghe, di un blu che sfuma fino a diventare un azzurro
cristallino vicino alla riva. Dolce, fresca e sconfinata, tanto da sembrare
mare. Per non parlare dell’enorme salita di sabbia che, oltre ad essere un
sfacchinata immane da scalare, era uno spettacolo mozzafiato. Vi giuro, ho
ancora la pelle d’oca.
Siamo tornati al camp verso le 18:00 e abbiamo cenato, dopodiché ci siamo messi a giocare a ping pong e a suonare le chitarre sulla panchina vicino al tavolo, finché non ho scoperto dell’esistenza dell’hamaka e ho trascorso lì il resto della serata. Alle 20:30 è iniziato il falò in spiaggia, sulla riva del lago che ci ha regalato un tramonto bellissimo. E anche lì abbiamo suonato e cantato proprio come se fossimo all’interno di Camp Rock.
Siamo tornati al camp verso le 18:00 e abbiamo cenato, dopodiché ci siamo messi a giocare a ping pong e a suonare le chitarre sulla panchina vicino al tavolo, finché non ho scoperto dell’esistenza dell’hamaka e ho trascorso lì il resto della serata. Alle 20:30 è iniziato il falò in spiaggia, sulla riva del lago che ci ha regalato un tramonto bellissimo. E anche lì abbiamo suonato e cantato proprio come se fossimo all’interno di Camp Rock.
Ma noi avevamo qualcosa in più. E
non sto scherzando. Sapete cosa? La nostra differenza culturale e linguistica.
Perché sì, non dobbiamo dimenticarci che lì eravamo in 30 persone e quasi tutte
di paesi diversi, con culture diverse, lingue diverse, storie diverse. Ed è
stato stupendo vedere come in quel
mare di lingue differenti, persone provenienti da tutto il mondo abbiano
trovato punti di contatto tra le culture, cose in comune. L’aria era colma di
voci e di parole diverse che si differenziavano tra loro per la vastità di
accenti, toni e significati, come se ci fosse un grande arcobaleno del suono
invisibile.
Insomma questo è stato il mio week-end in stile camp Rock che sicuramente non scorderò mai.