domenica 28 agosto 2016

Fiera e Parata a Chelsea

Ehy, everybody! Questa settimana, precisamente da Martedì a Sabato, si è tenuta a Chelsea una grande fiera con tanto di giostre, bancarelle e una grande parata, svoltasi l'ultimo giorno. Come già accennato nell'ultimo post, io avevo “““aiutato””” nella costruzione del carro per la parata (o per lo meno ero presente quando gli amici di mio fratello lo hanno costruito), quindi già sapevo come la parata si sarebbe svolta. Ma c'erano due cose che non sapevo, che a) ogni carro lanciava delle caramelle e che b) le persone si portavano da casa delle sedie, dei lenzuoli o addirittura dei materassi che mettevano lungo i marciapiedi per guardare comodamente la parata e prendere al volo le caramelle. Tutto perfetto, vero?
Beh, lo sarebbe stato, se solo non fosse diluviato.
Ebbene sì, la parata era all'una e all'una in punto il cielo si è ricoperto di nuvole e un terribile acquazzone ha cominciato a venire giù con lampi e tuoni, costringendo tutti i presenti a rimuovere le sedie, i lenzuoli e i materassi e ad andarsi a riparare sotto il primo tetto che trovavano. Ovunque vedevi gente che correva, ombrelloni (sì, perché non erano ombrelli, proprio ombrelloni! Di quelli che vedi al mare, esatto!) che volavano via ed altri che venivano distrutti dalla potenza della pioggia (il mio, per esempio).
“It's only water” aveva detto il signore seduto vicino a me, dall'alto dei suoi novanta kili. Certo. Ed intanto appena sono scese le prime gocce d'acqua lui era già in macchina al sicuro. Coerente.
Ma volete sapere la cosa più assurda? Tutto si è svolto normalmente.
Non hanno aspettato che smettesse di piovere, no. Perché aspettare una ventina di minuti, il tempo che la pioggia fosse diminuita? Pff, troppo normale. La parata si è tenuta ugualmente con l'acquazzone che faceva volare via tutto. Le persone hanno persino rinunciato a tenere l'ombrello, gettandolo via e cominciando a raccogliere le caramelle sotto la pioggia. Ed ancora più assurdo è il fatto che io lo abbia trovato divertente. Sì, perché mi sono divertito. Okay, magari adesso mi verrà un raffreddore, ma mi sono comunque divertito.
Per quel che riguarda la parata, invece, devo dire che in sé non era affatto male. C'erano un sacco di carri costruiti da gruppi di persone per ogni club, da quello di teatro a quello di arti marziali a quello di robotica, etc.
Per la fiera, invece, non posso dire di averla vista tutta, perché ci sono andato solo il primo giorno e ho semplicemente fatto un giro tra le bancarelle (che vendevano davvero di tutto), ma anche quella sembrava davvero ben fatta. C'erano giostre di tutti i tipi, alcune che non avevo mai visto, e anche una bancarella dove dovevi colpire il bersaglio per far cadere un uomo in una bacinella d'acqua.
Ah, e c'era anche un tendone in cui stavano degli animali, dai cavalli, ai buoi, ad un alpaca.
In conclusione, anche questa settimana ho avuto modo di scoprire un altro aspetto dell'America che ancora non conoscevo e di divertirmi provando cose bizzarre che non avevo mai fatto.
Con questo ho concluso, ci sentiamo al prossimo post che sarà probabilmente un'introduzione alla scuola.
Enjoy!

P.S. Non lanciavano solo caramelle, ma anche frisbee, cappellini, palline, oggetti non identificati, etc.












mercoledì 24 agosto 2016

L'AMERICA DEI FILM

Hey, everybody. Sono ormai già passate due settimane da quando sono qui negli States (non mi sembra ancora vero) e come potete ben immaginare ho ormai provato dal vivo un bel po’ di cose che si vedono nei film o nelle serie TV e che mi hanno indotto a pensare che l’America sia uguale a come ci appare in televisione. Per cui capite bene quanto sia stato a dir poco emozionante per un ragazzo che è cresciuto con i film americani provare dal vivo quello che fino a qualche anno prima vedeva (e sognava) da dietro uno schermo.
Per prima cosa le feste, argomento succulento, lo so, lo so. Sono stato ad un’unica vera e propria “festa in stile americano” che è stata organizzata come party pre-inizio scuola e che si tenuta nell’immenso giardino di una casa (sì, immensa anch’essa) su una collinetta. Come da film c’era la piscina, come da film c’era una grande tavola con hot dog, pop corn, bibite, etc…e come da film c’era un campo da pallavolo e da badminton (no, okay questo non c’è nei film, quindi capite bene che è ancora meglio!). Ma soprattutto, c’era un Lawn Mower Slip and Slide, che consiste praticamente nell’essere fatti ruotare in un campo di sapone e acqua da quella macchina tagliaerba che tanto si vede nei giardinetti americani (trovate il video qui, così per farvi capire). La festa è stata fantastica. Si è tenuta per la maggior parte del tempo in piscina, dove i ragazzi si sono messi a giocare a rugby e a fare tuffi acrobatici passandosi la palla prima di tuffarsi finché l’ultimo non l’ha afferrata in volo, finendo in acqua tra gli applausi (sì, lo so che fa molto mainstream, ma capitemi, è stato davvero troppo bello).
Poi sono stato ad altre varie piccole feste a casa di alcuni ragazzi (e uno di questi aveva la piscina) ma sono state molto più tranquille.
Molto interessante e tipicamente americano è stato invece l’incontro a casa di un’amica del mio fratello ospitante dove tutti i ragazzi presenti si sono messi a costruire in garage un carro per una parata che si terrà questa settimana. Ed ho “partecipato” pure io (ho attaccato qua e là alcune stelline con i nomi di chi ha costruito il carro, quindi sì, non ho fatto nulla). È stato davvero bello vederli lavorare tutti insieme, tra le risate e l’impegno nel realizzare qualcosa che magari per loro è quotidiano, mentre per me è assolutamente raro. Tant’è vero che non ho ancora capito dove abbiano preso il materiale necessario per realizzare un carro gigante, ma sono americani, quindi non mi sorprendo più di tanto.
La settimana scorsa, inoltre, ho anche cominciato con il club di tennis che si tiene presso la scuola che dovrò frequentare, la Chelsea High School, e devo dire che è stato molto divertente perché oltre a giocare ho avuto modo di conoscere nuove persone e fare amicizia prima che la scuola cominci. Non è stato facile capire subito gli esercizi da fare a causa dell’inglese, ma sono sicuro che migliorerò nel giro di poco tempo.
Altre attività, magari più quotidiane, sono state: portare a spasso i cani (sì, ho due adorabili cani) con la mia host-mom in un parco gigantesco attraverso il quale passa anche un fiume, fare dei falò nel giardino di casa (io mi divertivo ad alimentare il fuoco con la bomboletta spray finché non diventava enorme), andare all’ikea e comprare dei mobili ed infine dipingere una parete della stanza del mio host-brother con lui (ci abbiamo dipinto un secchio che si riversa e sparge i colori su tutta la parete, che secondo me è davvero bello).
Insomma, come prime due settimane qui ho potuto confermare che, in effetti, l’America tanto diversa dai film non lo è poi tanto e per me, che ho sempre sognato di provare quello che guardavo in televisione, questo che sto vivendo è proprio il mio sogno americano.
















martedì 16 agosto 2016

SI COMINCIA!

E dopo interminabili ore di attesa e di viaggio, eccomi finalmente negli Stati Uniti d’America.  Ma andiamo per ordine.
Il viaggio è cominciato da Roma, in un hotel  dove tutti i ragazzi pronti per partire si sono riuniti. E vi assicuro, vedere così tante persone con una targhetta addosso con su scritto “AFS – USA” è stato davvero uno dei primi segnali che stavo veramente per partire. Dal momento esatto in cui ho messo piede in quello stravagante albergo (i cui tavolini erano dipinti con i classici giochi come dama, tombola, etc.) ho capito che tutto stava per cominciare e un’incredibile ansia si è impadronita di me. È seguita una conferenza di Intercultura, poi il saluto ai genitori e dopo ancora l’assegnazione delle camere per la notte, nonché qualche gioco per conoscerci e un’assemblea per parlare del viaggio dell’indomani, durante il quale abbiamo avuto tutte le direttive su come muoverci in aeroporto. Poi siamo andati a “dormire”, sebbene nessuno riuscisse a farlo per la troppa agitazione (io ho giocato a carte tutto il tempo per cercare di distrarmi), e giunte le 3:00 di notte ci siamo preparati per partire.
Siamo arrivati in aeroporto più o meno per le 4:00, poiché il mio gruppo per Chicago era praticamente il primo a partire, quindi abbiamo fatto il check-in e abbiamo aspettato fino alle 7:15, orario di partenza per Londra. il viaggio è durato quasi tre ore, in un piccolo aereo che è stato il primo che io abbia mai preso in vita mia (quindi potete ben immaginare la mia ansia/sorpresa di volare). Non è stato male, comunque.
Arrivati a Londra abbiamo rieseguito tutto il controllo dei bagagli e del passaporto, il tutto con molta più fretta e agitazione perché il tempo era davvero poco e tutti cercavano di seguire il gruppo che correva più avanti. Quindi siamo partiti alle 11:20 di Londra e dopo quasi nove infinite ore di viaggio siamo finalmente giunti a Chicago (ore locale 13:50). Il secondo aereo era decisamente molto più grande del primo ed aveva per ogni sedile un piccolo schermo dove potevamo guardare film in tutte le lingue, ma anche serie TV, cartoni animati, potevamo sentire musica, giocare  ad alcuni videogames. Diciamo che alla fin fine in qualche modo ci siamo tenuti impegnati per tutto il viaggio, sebbene l’ansia crescesse di minuto in minuto per poi raggiungere il suo apice nel momento dell’atterraggio.
Ora, se pensate che il viaggio sia terminato e che arrivati a Chicago siamo finalmente riusciti a rilassarci, stare nelle camere e riposare, vi sbagliate di grosso. Non siamo riusciti a vedere assolutamente niente della città, perché 1) l’albergo era disperso nel nulla e 2) siamo ripartiti dopo nemmeno un’ora di soggiorno (giusto il tempo di mettere fra i denti qualcosa che loro chiamano pasta). Quindi ci siamo messi in pullman e siamo partiti alla volta di Detroit, con ben sei ore di viaggio da fare e molte più ore di sonno arretrato. Se non altro queste ore sono passate molto più velocemente, dormendo.
Quindi siamo arrivati a Detroit esattamente a mezzanotte e siamo finalmente riusciti a prendere delle camere e a dormire fino alle 7:00 di mattina. Abbastanza per riprendere le forze. Poi è iniziata l’Orientation che è durata fino alle 16:00, ora in cui sono cominciate a venire le famiglie per prenderci. 














E da lì è effettivamente cominciata la mia avventura negli States. Inutile dire che gli Stati Uniti d’America sono esattamente uguali  (almeno dal punto di vista panoramico) a come appaiono nei film. Le highway, le enormi distese di verde, le highway, le case costruite nel bel mezzo di boschi, tutte strutturalmente diverse tra loro, alcune più grandi, altre più piccole, ma tutte comunque indiscutibilmente bellissime e, oh, le highway. Sì, amo le highway americane, perché, dai, andiamo, mettete una canzone di sottofondo mentre ne attraversate una in macchina  e crederete davvero di essere in un film hollywoodiano. Tornando alle case, non mancano ovviamente per ciascuna di esse un garage, un giardino con il classico canestro per eventuali partitelle a basket, le finestre enormi, il camino e via discorrendo.
Come prima settimana (o quasi) negli States, ho già avuto modo di provare qualcosa, così da testare ed eventualmente eliminare alcuni stereotipi che da sempre circolano sugli Stati Uniti. Ora, sicuramente la prima cosa che ho notato è che mangiano davvero di tutto, come pizza con ingredienti che non ho avuto il coraggio di voler sapere, oppure i tacos, o ancora il classico bacon (davvero buono devo dire). La pizza, se presa senza troppa farcitura, è davvero buona devo ammettere, ma ovviamente non arriva ai livelli di quella italiana, così come il caffè.
Un’abitudine davvero bella che ho notato è che gli americani giocano molto ai giochi da tavolo in famiglia quando non hanno nulla da fare. Ed è un momento di riunione bellissimo, che probabilmente manca nella maggior parte delle famiglie italiane.
Altra cosa che inizialmente mi ha sorpreso, ma che alla fin fine è quasi ovvia, è che gli americani ritengono normale e ancor peggio banale, tutto quello che li circonda. Quando ho mostrato al mio fratello ospitante una foto di casa mia lui ha detto “Very cool”. Ma cool cosa?! "Le nostre case sono dannatamente tutte uguali, mentre le vostre non solo sono diverse ma anche una più bella dell’altra!” gli ho detto (o almeno ci ho provato. Sì, con l’inglese ho ancora qualche problema). Allo stesso modo, parlando della scuola, ho capito che loro ritengono stressante e per niente figo doversi muovere da una classe all’altra di ora in ora. Oh, andiamo! Voi avete gli armadietti! Provate a stare chiusi in una classe per ben cinque ore e poi ne riparliamo. Ma al di là di questo non ho avuto ancora modo di vedere la scuola dall’interno, quindi questo sarà argomento del prossimo post.
Insomma, da quello che ho avuto modo di capire, loro ritengono tutto normale, quasi noioso, ed è giusto che sia così. Vivere per molto tempo nello stesso posto e fare ogni volta le stesse cose rende tutto molto meno bello agli occhi di chi le vive da tempo rispetto a chi le vive per la prima volta. E pensandoci, credo che sia questo il motivo principale che spinge molti a partire in cerca di nuove avventure, nuove cose da scoprire. Il fatto che vedere le stesse cose a lungo termine può indurti a voler testarne di nuove.
E niente, questo è quanto ho avuto modo di vedere nel poco tempo in cui sono stato qui.
Dall’America è tutto. Ci sentiamo al prossimo post!
P.S. Allego alcune foto (comprese quelle degli strani tavolini dell’albergo di Roma).

lunedì 8 agosto 2016

ROAD TO USA

Non realizzi che stai seriamente per lasciare tutto e partire fino a quando non mancano così pochi giorni alla partenza che puoi contarli con le dita. E forse nemmeno allora lo comprendi appieno. Guardi le persone salutarti, dirti che gli mancherai, ma ancora non riesci a credere che quella persona che stanno salutando sei proprio tu, come se fossi rinchiuso in una bolla di sapone e guardassi tutto dall’esterno, incapace di realizzare quello che sta succedendo. Probabilmente sarà solo quando metterai piede nel tuo nuovo paese, nella tua nuova città, nella tua nuova casa, che dirai: “Cavolo, ma sono veramente qui. È successo davvero!”.
Per me questa avventura è ancora un sogno, così come lo era quando tutto è cominciato.  Perché, d’altronde, non riesco a definirla con altro termine se non appunto “sogno”. Voi come altro lo chiamereste quel momento del vostro nuovo percorso in cui tutto è ancora così irreale, così evanescente?
Infondo, pensandoci col senno di poi, tutto questo è cominciato per caso, come un gioco, o una mera possibilità. Alla domanda: “Mamma, posso partire per un mese in estate all’estero?” la risposta fu: “Va bene, mi informerò”. E lo fece davvero, ma mai mi sarei aspettato che da un semplice mese, mia madre cominciasse a maturare, anche solo ipoteticamente, l’idea di un viaggio annuale. Quando me lo propose, io acconsentii senza pensarci, avendo sempre coltivato la speranza di uscire un giorno dall’Italia per viaggiare nei Paesi che fin da piccolo avevo sempre visto in televisione. Pensai: “Chissà, magari riuscirò ad andare negli Stati Uniti!”, ma dentro di me credevo che sarebbe rimasto soltanto un sogno e che alla fine non se ne sarebbe fatto più niente. Chi avrebbe mai immaginato tutto quello che sarebbe successo di lì a poco? Se ci penso ora, a quella serie fortuita di avvenimenti, mi viene da dire che non sono io quello che sta per partire, ma qualcun altro, perché non posso credere, davvero, che sono proprio io quella persona a cui la Fortuna, o forse il Destino, sembra aver sorriso. È davvero una strana sensazione.
Difatti, tutto il mio percorso è stato in qualche modo accompagnato dalla Fortuna. Tutto. Passare le selezioni, vincere la borsa di studio con il programma Itaca per un anno extraeuropeo e persino il fatto che mi sia capitata proprio la prima scelta, ossia gli Stati Uniti (avevo messo tre Paesi: USA, Danimarca e Svezia).
Ma poi, dopo tutte queste belle notizie, come se qualcuno avesse notato che mi stava andando tutto troppo liscio e avesse voluto rimediare, ecco che è iniziata l’attesa più grande che avessi mai affrontato: l’affidamento ad una famiglia. Mai attesa fu più snervante.  E se mai chi sta leggendo questo post stesse pensando di partire con Intercultura si tenesse pronto a questa fase, che richiede nervi saldi e molta, ma molta pazienza. Io stesso ho saputo la famiglia solo qualche giorno fa, poco prima di partire. E non vi dico quanto sia stato irritante dover rispondere alla domanda: “Ah, quindi vai negli Stati Uniti, dove precisamente?” con la frase “Non lo so ancora!” quando mancava solo un mese e tutti quelli che partivano per altri Paesi avevano già saputo le loro destinazioni.
Ora, invece, che so la famiglia, la paura di partire da orfano mi è passata, lasciando posto ad un intricato miscuglio di sensazioni, piacevoli e spiacevoli al contempo, che da qualche giorno a questa parte mi logorano lo stomaco. Il solo pensare che fra pochi giorni mi troverò dall’altra parte del mondo mi mette ansia. Ma quello che più in assoluto mi sta tormentando è il sapere che sì, è vero che mancano pochi giorni alla partenza, ma è altrettanto vero che rimangono pochi giorni da trascorrere con amici e famigliari. Ed è in questi giorni che dai fortemente peso ad ogni singola piccolezza, ad ogni azione che compi, sia essa banale o meno. Cose come camminare per la città, mangiare determinati piatti, festeggiare, abbracciare una persona a cui vuoi bene o anche solo farti una foto con lei, assumono un valore diverso, più prezioso, che lascia un piccolo ma indelebile segno della tua memoria e nel tuo cuore. Cominci a dire: “Wow, queste piccole cose fanno parte della mia vita e adesso non le farò più per un anno!”.
Ed è dura, davvero dura, credetemi, dover realizzare che tu quelle persone con cui trascorri questi ultimi giorni non le vedrai per un anno, ma è ancora più arduo doverle salutare, doversi sentir dire: “Non partire” quando sai che ormai il dado è tratto e tutto quello che puoi promettere è che continuerai a tenere saldi quei legami così preziosi anche a distanza.

Ma infondo, ne varrà la pena. Varrà la pena mettere in pausa la mia vita per un anno e andare via, lontano, verso posti a me sconosciuti pronti per essere scoperti, verso una cultura nuova pronta ad aprirmi la mente, verso persone che lasceranno un posto nel mio cuore e faranno di me una persona nuova, migliore. E poi tornerò, con occhi diversi che avranno visto una parte di mondo pronta a darmi tanto e che mi permetteranno di vedere tutto sotto una nuova prospettiva. 

Tommaso Padovano