E dopo interminabili ore di attesa e di viaggio, eccomi
finalmente negli Stati Uniti d’America. Ma andiamo per ordine.
Il viaggio è cominciato da Roma, in un hotel dove tutti i ragazzi pronti per partire si
sono riuniti. E vi assicuro, vedere così tante persone con una targhetta
addosso con su scritto “AFS – USA” è stato davvero uno dei primi segnali che
stavo veramente per partire. Dal momento esatto in cui ho messo piede in quello
stravagante albergo (i cui tavolini erano dipinti con i classici giochi come
dama, tombola, etc.) ho capito che tutto stava per cominciare e un’incredibile
ansia si è impadronita di me. È seguita una conferenza di Intercultura, poi il
saluto ai genitori e dopo ancora l’assegnazione delle camere per la notte,
nonché qualche gioco per conoscerci e un’assemblea per parlare del viaggio
dell’indomani, durante il quale abbiamo avuto tutte le direttive su come
muoverci in aeroporto. Poi siamo andati a “dormire”, sebbene nessuno riuscisse
a farlo per la troppa agitazione (io ho giocato a carte tutto il tempo per
cercare di distrarmi), e giunte le 3:00 di notte ci siamo preparati per
partire.
Siamo arrivati in aeroporto più o meno per le 4:00, poiché
il mio gruppo per Chicago era praticamente il primo a partire, quindi abbiamo
fatto il check-in e abbiamo aspettato fino alle 7:15, orario di partenza per
Londra. il viaggio è durato quasi tre ore, in un piccolo aereo che è stato il
primo che io abbia mai preso in vita mia (quindi potete ben immaginare la mia
ansia/sorpresa di volare). Non è stato male, comunque.
Arrivati a Londra abbiamo rieseguito tutto il controllo dei
bagagli e del passaporto, il tutto con molta più fretta e agitazione perché il
tempo era davvero poco e tutti cercavano di seguire il gruppo che correva più
avanti. Quindi siamo partiti alle 11:20 di Londra e dopo quasi nove infinite
ore di viaggio siamo finalmente giunti a Chicago (ore locale 13:50). Il secondo
aereo era decisamente molto più grande del primo ed aveva per ogni sedile un
piccolo schermo dove potevamo guardare film in tutte le lingue, ma anche serie
TV, cartoni animati, potevamo sentire musica, giocare ad alcuni videogames. Diciamo che alla fin
fine in qualche modo ci siamo tenuti impegnati per tutto il viaggio, sebbene
l’ansia crescesse di minuto in minuto per poi raggiungere il suo apice nel
momento dell’atterraggio.
Ora, se pensate che il viaggio sia terminato e che arrivati
a Chicago siamo finalmente riusciti a rilassarci, stare nelle camere e
riposare, vi sbagliate di grosso. Non siamo riusciti a vedere assolutamente
niente della città, perché 1) l’albergo era disperso nel nulla e 2) siamo
ripartiti dopo nemmeno un’ora di soggiorno (giusto il tempo di mettere fra i
denti qualcosa che loro chiamano pasta). Quindi ci siamo messi in pullman e
siamo partiti alla volta di Detroit, con ben sei ore di viaggio da fare e molte
più ore di sonno arretrato. Se non altro queste ore sono passate molto più
velocemente, dormendo.
Quindi siamo arrivati a Detroit esattamente a mezzanotte e
siamo finalmente riusciti a prendere delle camere e a dormire fino alle 7:00 di
mattina. Abbastanza per riprendere le forze. Poi è iniziata l’Orientation che è
durata fino alle 16:00, ora in cui sono cominciate a venire le famiglie per
prenderci.
E da lì è effettivamente cominciata la mia avventura negli
States. Inutile dire che gli Stati Uniti d’America sono esattamente uguali (almeno dal punto di vista panoramico) a come
appaiono nei film. Le highway, le enormi distese di verde, le highway, le case
costruite nel bel mezzo di boschi, tutte strutturalmente diverse tra loro,
alcune più grandi, altre più piccole, ma tutte comunque indiscutibilmente
bellissime e, oh, le highway. Sì, amo le highway americane, perché, dai,
andiamo, mettete una canzone di sottofondo mentre ne attraversate una in
macchina e crederete davvero di essere
in un film hollywoodiano. Tornando alle case, non mancano ovviamente per
ciascuna di esse un garage, un giardino con il classico canestro per eventuali
partitelle a basket, le finestre enormi, il camino e via discorrendo.
Come prima settimana (o quasi) negli States, ho già avuto
modo di provare qualcosa, così da testare ed eventualmente eliminare alcuni
stereotipi che da sempre circolano sugli Stati Uniti. Ora, sicuramente la prima
cosa che ho notato è che mangiano davvero di tutto, come pizza con ingredienti
che non ho avuto il coraggio di voler sapere, oppure i tacos, o ancora il
classico bacon (davvero buono devo dire). La pizza, se presa senza troppa
farcitura, è davvero buona devo ammettere, ma ovviamente non arriva ai livelli
di quella italiana, così come il caffè.
Un’abitudine davvero bella che ho notato è che gli americani
giocano molto ai giochi da tavolo in famiglia quando non hanno nulla da fare.
Ed è un momento di riunione bellissimo, che probabilmente manca nella maggior
parte delle famiglie italiane.
Altra cosa che inizialmente mi ha sorpreso, ma che alla fin
fine è quasi ovvia, è che gli americani ritengono normale e ancor peggio
banale, tutto quello che li circonda. Quando ho mostrato al mio fratello ospitante
una foto di casa mia lui ha detto “Very
cool”. Ma cool cosa?! "Le
nostre case sono dannatamente tutte uguali, mentre le vostre non solo sono
diverse ma anche una più bella dell’altra!” gli ho detto (o almeno ci ho
provato. Sì, con l’inglese ho ancora qualche problema). Allo stesso modo,
parlando della scuola, ho capito che loro ritengono stressante e per niente
figo doversi muovere da una classe all’altra di ora in ora. Oh, andiamo! Voi
avete gli armadietti! Provate a stare chiusi in una classe per ben cinque ore e
poi ne riparliamo. Ma al di là di questo non ho avuto ancora modo di vedere la
scuola dall’interno, quindi questo sarà argomento del prossimo post.
Insomma, da quello che ho avuto modo di capire, loro
ritengono tutto normale, quasi noioso, ed è giusto che sia così. Vivere per
molto tempo nello stesso posto e fare ogni volta le stesse cose rende tutto
molto meno bello agli occhi di chi le vive da tempo rispetto a chi le vive per
la prima volta. E pensandoci, credo che sia questo il motivo principale che
spinge molti a partire in cerca di nuove avventure, nuove cose da scoprire. Il
fatto che vedere le stesse cose a lungo termine può indurti a voler testarne di
nuove.
E niente, questo è quanto ho avuto modo di vedere nel poco
tempo in cui sono stato qui.
Dall’America è tutto. Ci sentiamo al prossimo post!
P.S. Allego alcune foto (comprese quelle degli strani
tavolini dell’albergo di Roma).
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