martedì 16 agosto 2016

SI COMINCIA!

E dopo interminabili ore di attesa e di viaggio, eccomi finalmente negli Stati Uniti d’America.  Ma andiamo per ordine.
Il viaggio è cominciato da Roma, in un hotel  dove tutti i ragazzi pronti per partire si sono riuniti. E vi assicuro, vedere così tante persone con una targhetta addosso con su scritto “AFS – USA” è stato davvero uno dei primi segnali che stavo veramente per partire. Dal momento esatto in cui ho messo piede in quello stravagante albergo (i cui tavolini erano dipinti con i classici giochi come dama, tombola, etc.) ho capito che tutto stava per cominciare e un’incredibile ansia si è impadronita di me. È seguita una conferenza di Intercultura, poi il saluto ai genitori e dopo ancora l’assegnazione delle camere per la notte, nonché qualche gioco per conoscerci e un’assemblea per parlare del viaggio dell’indomani, durante il quale abbiamo avuto tutte le direttive su come muoverci in aeroporto. Poi siamo andati a “dormire”, sebbene nessuno riuscisse a farlo per la troppa agitazione (io ho giocato a carte tutto il tempo per cercare di distrarmi), e giunte le 3:00 di notte ci siamo preparati per partire.
Siamo arrivati in aeroporto più o meno per le 4:00, poiché il mio gruppo per Chicago era praticamente il primo a partire, quindi abbiamo fatto il check-in e abbiamo aspettato fino alle 7:15, orario di partenza per Londra. il viaggio è durato quasi tre ore, in un piccolo aereo che è stato il primo che io abbia mai preso in vita mia (quindi potete ben immaginare la mia ansia/sorpresa di volare). Non è stato male, comunque.
Arrivati a Londra abbiamo rieseguito tutto il controllo dei bagagli e del passaporto, il tutto con molta più fretta e agitazione perché il tempo era davvero poco e tutti cercavano di seguire il gruppo che correva più avanti. Quindi siamo partiti alle 11:20 di Londra e dopo quasi nove infinite ore di viaggio siamo finalmente giunti a Chicago (ore locale 13:50). Il secondo aereo era decisamente molto più grande del primo ed aveva per ogni sedile un piccolo schermo dove potevamo guardare film in tutte le lingue, ma anche serie TV, cartoni animati, potevamo sentire musica, giocare  ad alcuni videogames. Diciamo che alla fin fine in qualche modo ci siamo tenuti impegnati per tutto il viaggio, sebbene l’ansia crescesse di minuto in minuto per poi raggiungere il suo apice nel momento dell’atterraggio.
Ora, se pensate che il viaggio sia terminato e che arrivati a Chicago siamo finalmente riusciti a rilassarci, stare nelle camere e riposare, vi sbagliate di grosso. Non siamo riusciti a vedere assolutamente niente della città, perché 1) l’albergo era disperso nel nulla e 2) siamo ripartiti dopo nemmeno un’ora di soggiorno (giusto il tempo di mettere fra i denti qualcosa che loro chiamano pasta). Quindi ci siamo messi in pullman e siamo partiti alla volta di Detroit, con ben sei ore di viaggio da fare e molte più ore di sonno arretrato. Se non altro queste ore sono passate molto più velocemente, dormendo.
Quindi siamo arrivati a Detroit esattamente a mezzanotte e siamo finalmente riusciti a prendere delle camere e a dormire fino alle 7:00 di mattina. Abbastanza per riprendere le forze. Poi è iniziata l’Orientation che è durata fino alle 16:00, ora in cui sono cominciate a venire le famiglie per prenderci. 














E da lì è effettivamente cominciata la mia avventura negli States. Inutile dire che gli Stati Uniti d’America sono esattamente uguali  (almeno dal punto di vista panoramico) a come appaiono nei film. Le highway, le enormi distese di verde, le highway, le case costruite nel bel mezzo di boschi, tutte strutturalmente diverse tra loro, alcune più grandi, altre più piccole, ma tutte comunque indiscutibilmente bellissime e, oh, le highway. Sì, amo le highway americane, perché, dai, andiamo, mettete una canzone di sottofondo mentre ne attraversate una in macchina  e crederete davvero di essere in un film hollywoodiano. Tornando alle case, non mancano ovviamente per ciascuna di esse un garage, un giardino con il classico canestro per eventuali partitelle a basket, le finestre enormi, il camino e via discorrendo.
Come prima settimana (o quasi) negli States, ho già avuto modo di provare qualcosa, così da testare ed eventualmente eliminare alcuni stereotipi che da sempre circolano sugli Stati Uniti. Ora, sicuramente la prima cosa che ho notato è che mangiano davvero di tutto, come pizza con ingredienti che non ho avuto il coraggio di voler sapere, oppure i tacos, o ancora il classico bacon (davvero buono devo dire). La pizza, se presa senza troppa farcitura, è davvero buona devo ammettere, ma ovviamente non arriva ai livelli di quella italiana, così come il caffè.
Un’abitudine davvero bella che ho notato è che gli americani giocano molto ai giochi da tavolo in famiglia quando non hanno nulla da fare. Ed è un momento di riunione bellissimo, che probabilmente manca nella maggior parte delle famiglie italiane.
Altra cosa che inizialmente mi ha sorpreso, ma che alla fin fine è quasi ovvia, è che gli americani ritengono normale e ancor peggio banale, tutto quello che li circonda. Quando ho mostrato al mio fratello ospitante una foto di casa mia lui ha detto “Very cool”. Ma cool cosa?! "Le nostre case sono dannatamente tutte uguali, mentre le vostre non solo sono diverse ma anche una più bella dell’altra!” gli ho detto (o almeno ci ho provato. Sì, con l’inglese ho ancora qualche problema). Allo stesso modo, parlando della scuola, ho capito che loro ritengono stressante e per niente figo doversi muovere da una classe all’altra di ora in ora. Oh, andiamo! Voi avete gli armadietti! Provate a stare chiusi in una classe per ben cinque ore e poi ne riparliamo. Ma al di là di questo non ho avuto ancora modo di vedere la scuola dall’interno, quindi questo sarà argomento del prossimo post.
Insomma, da quello che ho avuto modo di capire, loro ritengono tutto normale, quasi noioso, ed è giusto che sia così. Vivere per molto tempo nello stesso posto e fare ogni volta le stesse cose rende tutto molto meno bello agli occhi di chi le vive da tempo rispetto a chi le vive per la prima volta. E pensandoci, credo che sia questo il motivo principale che spinge molti a partire in cerca di nuove avventure, nuove cose da scoprire. Il fatto che vedere le stesse cose a lungo termine può indurti a voler testarne di nuove.
E niente, questo è quanto ho avuto modo di vedere nel poco tempo in cui sono stato qui.
Dall’America è tutto. Ci sentiamo al prossimo post!
P.S. Allego alcune foto (comprese quelle degli strani tavolini dell’albergo di Roma).

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